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Pubblicato da Michele Pappacoda mjcheva@live.it

421449 341488462636967 1517554003 nInserito da :Sotgia Marcella CAGLIARI. Attenti alla giungla, è zeppa di trappole: chi ci finisce dentro non ha scampo. La chiamano amorevolmente Pubblica amministrazione, ma potrebbe essere declinata in sabbie mobili (burocrazia), tagliola (incapacità di spendere) e forca (ritardo nei pagamenti): è un accanimento, con le imprese azzannate fino alla morte. Oppure per chi ha più affinità col vocabolario dall’italiano al politichese, questo è anche un mondo terribile tenuto assieme da definizioni più o meno lugubri: Finanziaria, Patto di stabilità, residui passivi e tanti altri paroloni, che un discreto traduttore riassumerebbe così: la Pubblica amministrazione è una iattura. Se pochi giorni fa è stata la Confindustria regionale a denunciare che in Sardegna sono bloccati 9 miliardi e mezzo, nelle casse degli enti locali, stavolta a gettare le carte sul tavolo sono stati, insieme, le imprese edili e i sindacati dell’edilizia. Lo hanno fatto con dettaglio: «Fra appalti non pagati e lavori d’ogni tipo, dai marciapiedi alle case popolari, la galassia delle costruzioni aspetta ancora di incassare 240 milioni da Regione, Province e Comuni, e altri 120 milioni sono vincolati dal Patto di stabilità, cioè potrebbero essere investiti ma di quel terzetto nessuno osa provarci». E ancora: «Il tempo medio di pagamento della Pubblica amministrazione è pessimo: dai 239 giorni fino a due anni». Per poi andar fuori di testa nel gettare sul tavolo il morto: «Un’impresa su tre, nell’edilizia, continua a fallire ed è colpa degli enti locali che sono pessimi pagatori ma implacabili esattori. In cinque anni, i i licenziamenti sono stati 22.600 e quasi tutti sempre per lo stesso motivo: i bonifici fantasma. E se nei prossimi mesi quel solito trio, Regione, Province e Comuni, non uscirà dal tunnel dell’inefficienza e dell’evidente incapacità di tenere aggiornati i conti, oppure non spezzerà le catene del Patto, a chiudere non saranno duemila imprese, ma diecimila e ad andare in malora sarà tutta l’isola. Con un disastro che travolgerà imprenditori, dipendenti, famiglie e fornitori». Da tutto questo si sono liberati, uno dopo l’altro, il presidente dell’associazione regionale costruttori, Maurizio De Pascale dell’Ance, i segretari di Cna e Confartigianato, Francesco Porcu e Filippo Spanu, Valentina Meloni dell’Aniem-Api, le piccole imprese, e Mario Foddai della Uil anche a nome di Cgil e Cisl. Si sono presentati in massa ed è stato un fronte compatto, quello che «da anni è vittima della giungla e non sa più come venirne perché anche le banche no hanno smesso di anticiparci i crediti: non si fidano delle istituzioni, sanno che sono in sofferenza» e poi: «Il nostro non è più un grido di allarme. Siamo alla disperazione, all’angolo. Oggi è a rischio la stabilità sociale: se affonda l’edilizia, che da sola vale il 28 per cento dell’economia sarda, nessuno si salva». Peggio di così, c’è ben poco altro se non prendere carta e penna per scrivere un altro, l’ennesimo appello. Il gruppo della denuncia l’ha fatto: alla Regione ha chiesto di tenere «immediatamente conto» del dramma nella prossima Finanziaria. «Non vogliamo che la politica apra e chiuda le fabbriche, crei lavoro, a quello ci pensiamo noi. Dal governo e dalle giunte pretendiamo le condizioni minime per investire, produrre e assumere». L’altro giorno hanno saputo, anche se non hanno visto ancora le carte, che Cappellacci e più hanno licenziato una Finanziaria ricca di fantasia e persino spregiudicata nella sfida al Patto di stabilità: soddisfatti? «No, perché purtroppo c’è ancora aria di finanziamenti a pioggia, con l’aggravante che le risorse forse liberate serviranno a finanziare interventi avvelenati dalla sola propaganda». Ad esempio i «Sardex» – moneta virtuale – per dare ristoro ai disoccupati: «Invece di dare certezze, la politica gonfia ancora il precariato, ingrossa le sacche degli assistiti, alimenta il lavoro nero: questo non è sviluppo ma sottosviluppo». Dalla Finanziaria imprese e sindacati si aspettano ben altro: «Vogliamo azioni virtuose e allora sì che saremo pronti a sostenere la Regione in qualunque sede». E siccome nei palazzi del potere qualcuno dirà che «questa è la solita gente impregnata di lacrime e lamentele», il gruppo ha presentato anche le sue proposte. Ad esempio, proporre all’Europa di permettere all’Italia quello che ha fatto la Spagna: 27 miliardi di debiti pagati in cinque mesi come misura una tantumsenza incidere sull’obbligo del pareggio di bilancio. Oppure, ripetere l’esperimento del comune di Matera che ha fatto transitare 11 milioni attraverso la Banca d’Italia e li ha svincolati dal Patto di stabilità. O ancora, rischiare come la giunta di Belluno che i sigilli li ha violati e investito molti milioni per rendere facile la vita alle imprese. Ma basterebbe anche che la Regione la finisse di offrire 15 milioni alle banche per abbattere gli interessi degli anticipi alle aziende e «mandasse in circolo i soldi fermi». Sono proposte che la galassia delle costruzioni, imprese e sindacati insieme, è pronta a mettere a disposizione. Quanto vale il pacchetto completo? «Diecimila nuovi posti lavoro».  Fonte :La nuova Sardegna