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Pubblicato da Miki Pappacoda

«Sono morti centomila soldati. E tra dieci anni l’Ucraina avrà metà dei cittadini del ’93»

INSERITO DA MICHELE PAPPACODA KIEV — Ella Libanova, direttrice dell’Accademia delle Scienze ucraina, demografa, è sicura? Pochi giorni fa il presidente russo Vladimir Putin ha parlato di 71 mila soldati ucraini uccisi dall’inizio della guerra. Kiev non dà numeri, lei quanti pensa che siano?
«Centomila. E solo tra i militari».

 

Come lo calcola?
«I dati ufficiali dei decessi sono segreti. Allora dobbiamo arrangiarci con le stime. All’Istituto nazionale Ptoukha abbiamo usato i numeri delle frontiere, delle nascite (che sono rimasti pubblici) e tanti altri indicatori tra cui le sim dei cellulari. Per evitare di contare come due persone chi ha semplicemente due telefonini addosso abbiamo accesso anche alla geolocalizzazione. Incrociando tutto, purtroppo, siamo sulle centomila vittime. Maschi e nel momento più produttivo della vita».

 

E i civili?
«Bisognerebbe capire se mio marito che è morto d’infarto durante un bombardamento va considerato vittima di guerra oppure no. Ma il problema maggiore sono i conteggi nelle aree occupate. Il buco nero è Mariupol, durante l’assedio potrebbero esserci state decine di migliaia di vittime. Forse non lo sapremo mai. Il totale comunque resta largamente sotto quello dei militari».

La professoressa Libanova dice cose tremende con totale serenità quando parla di numeri che sono il suo strumento di lavoro, né buoni né cattivi. Si altera invece quando deve dare un nome a ciò che legge nei grafici: «spopolamento».

«Se la guerra finisse nel 2025 stimiamo che nel 2033 gli ucraini saranno tra i 26 e i 32 milioni. Non riusciamo a stringere questa forbice perché troppe sono le incognite. Quanti torneranno dall’estero tra i rifugiati e gli emigranti? Ci sarà sicurezza e ripresa economica? Queste variabili sono imprevedibili e condizioneranno le scelte di vasti gruppi sociali».

Nel 1993, due anni dopo lo scioglimento dell’Urss, l’Ucraina aveva 52,3 milioni di abitanti. Secondo la sua peggiore ipotesi, 40 anni dopo, nel 2033 potrebbe averne la metà?
«Andavamo in quella direzione anche prima della guerra. Da anni eravamo in denatalità e spopolamento. Il tasso di fertilità era nel 2021 di appena 1,2 figli per donna e ad aggravare il quadro c’erano 3 milioni di emigrati. Non è che voi italiani, senza immigrazione, stareste tanto meglio. La crisi demografica colpisce tutta Europa, però con la guerra da noi è diventata una tragedia. Nel 2022, il tasso di fertilità è sceso allo 0,9 e l’anno prossimo me lo aspetto allo 0,7. Poi si sono aggiunti i rifugiati».

Che potrebbero tornare.
«Per fortuna i rifugiati in Europa sono meno dei 7 milioni che sento dire. Saranno al massimo 4 milioni a cui bisogna aggiungerne 1,2 in Russia e un altro milione tra Gran Bretagna e Nord America. Il problema è che sono soprattutto donne e bambini e con gli uomini lontani è difficile rimanere incinte».

Difficile anche pensare di mettere al mondo dei figli con un Paese in guerra.
«Conta la volontà, ma anche i trend statistici. Le fasce di età più falcidiate dai combattimenti sono proprio quelle in età riproduttiva con conseguenze sulla curva demografica per decenni. Le persone tra i 20 e i 64 anni scenderanno del 15%. Le donne nell’età più fertile tra i 20 e i 34 anni dell’11%. Non si esce dall’inverno demografico con questi numeri».

Niente di positivo?
«Gli ucraini hanno un forte attaccamento alla patria. Nei primi mesi di guerra, duecentomila maschi che erano all’estero sono tornati per combattere. C’è da pensare che con la pace tornino molti tra i rifugiati e degli emigranti desidereranno rientrare, ma bisogna assolutamente riuscire a vincere il dopoguerra».

Cosa intende?
«Che ci vogliono condizioni di sicurezza ed economiche capaci di convincere la maggior parte dei 9 milioni di ucraini all’estero. Il nostro tesoro nazionale. Il 70% delle donne scappate ha un’educazione superiore, rappresentano il meglio della società. Se finiti i combattimenti proseguirà l’incertezza, saranno i mariti a raggiungerle all’estero. Non viceversa. Per il Paese sarebbe buio profondo.

DAL NOSTRO INVIATO ANDREA NICASTRO  CORRIERE DELLA SERA